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Progetto in corso

Luca Calcagno, Università degli Studi Federico II, Napoli

Borsa di Studio triennale

Studio sulla Celiachia
Area: Immunologia

Descrizione dello studio:

La celiachia è caratterizzata da aumento dell’infiltrato di linfociti TcRαβ+ e TcRγδ+ nell’epitelio della mucosa del piccolo intestino. Mentre il ruolo citotossico dei TcRβ+CD8+ è stato ben documentato come principale responsabile della lesione della mucosa del piccolo intestino, la specificità e il ruolo svolto dai TcRγδ+ sono ancora poco chiari. La celiachia potenziale rappresenta un eccellente modello biologico per investigare gli eventi patogenetici che precedono la lesione mucosale in quanto rappresenta una condizione in cui non vi è il danno della mucosa a fronte di elevati livelli sierici di anticorpi specifici per la malattia celiaca.
L’ipotesi è che i TcRγδ+ abbiano un ruolo negli eventi patogenetici del danno della mucosa del piccolo intestino nella celiachia. In particolare, si suppone che l’espansione e l’attivazione funzionale dei TcRγδ+ possano contribuire a portare alla manifestazione conclamata della malattia. La caratterizzazione di questa popolazione cellulare potrebbe fornire gli strumenti per individuare, tra i pazienti con celiachia potenziale, quelli che svilupperanno il danno mucosale. Tramite l’utilizzo di tecniche di citometria a flusso e immunoistochimica, ci proponiamo di indagare il fenotipo riguardante i recettori NK dei linfociti intraepiteliali TcRγδ+ e TcRβ+CD8+ nei diversi stadi della malattia celiaca, di studiare la produzione di citochine da parte dei TcRγδ+ e loro funzione nei vari stadi della malattia celiaca e, infine, di valutare il compartimento epiteliale della mucosa del piccolo intestino in relazione alla progressione della malattia celiaca dallo stadio potenziale a quello attivo ed in relazione alla infiltrazione ed espansione dei linfociti TcRγδ+ e TcRβ+CD8+.

Impatto dello studio sulla conoscenza della malattia celiaca e benefici per il paziente:

Lo studio aiuterà a comprendere il ruolo dei linfociti intraepiteliali TCRγδ+ nella patogenesi della malattia. Inoltre, permetterà di far luce sulla storia naturale della celiachia e di individuare marcatori biologici precoci di sviluppo di atrofia della mucosa duodenale da utilizzare nella pratica clinica per creare nuove strategie terapeutiche. L’identificazione di nuovi marcatori associati alla progressione della malattia verso la fase distruttiva della mucosa potrebbe essere utile nella pratica clinica per identificare quei pazienti da indirizzare immediatamente alla dieta priva di glutine o da sottoporre a pratiche di prevenzione.

Lo studio

Cosa si è voluto studiare e perché?
La malattia celiaca (CD) è una  malattia autoimmune causata dall’ingestione di glutine in individui geneticamente predisposti. I meccanismi alla base di questa intolleranza non sono ancora completamente definiti. Il glutine, normalmente tollerato come gli altri alimenti,  nei soggetti celiaci  attiva invece una risposta immunologica. Esistono due tipi di risposta immune, una molto specifica mediata da cellule T e da anticorpi specifici, un’altra più primitiva, detta risposta innata, la stessa che ci difende da infezioni virali. Quest’ultimo aspetto è stato studiato cogliendo le similarità tra risposta al glutine e risposta antivirale e cercando di definire se le due risposte possono in qualche modo sommarsi. Infatti, come suggerito da studi epidemiologici e genetici, altri fattori ambientali oltre al glutine potrebbero essere in grado di suscitare lo sviluppo della celiachia in individui geneticamente suscettibili, tra questi in primo luogo le infezioni virali. A favore del possibile ruolo di virus,  dati preliminari di altri laboratori e di quello del Progetto hanno mostrato un aumento di interferoni di tipo 1 nell’intestino di pazienti celiaci.
Obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’attivazione dell’immunità innata da parte di peptidi di glutine e/o virus e il suo ruolo nell’induzione del danno nella malattia celiaca (Figura 1).

La Metodologia
Sono state utilizzate linee di cellule epiteliali (CaCo2) e biopsie ottenute da pazienti controllo e da pazienti celiaci in fase attiva di malattia e potenziali. Sono state studiate in condizioni basali e dopo cultura in presenza di peptidi della gliadina. Numerose tecniche sono state impiegate. PCR, immunoistochimica e analisi biochimica delle proteine (Western blot) hanno consentito di valutare i meccanismi attivati dai peptidi della gliadina e dai ligandi virali. Si è anche cercato di capire se un’alterazione cellulare che il gruppo di ricerca aveva già ipotizzato nella celiachia, consistente in un difetto del movimento di vescicole all’interno delle cellule, può essa stessa causare infiammazione, soprattutto se in presenza di gliadina.

Risultati e Conclusioni
Il Progetto ha dimostrato:
⦁ L’aumentata espressione di molecole tipiche dell’immunità innata. Oltre all’aumentata espressione di IL15, l’attivazione della via dell’interferone alpha nell’intestino di soggetti celiaci in fase acuta.
⦁ Che il peptide della gliadina P31-43, resistente alla digestione intestinali, è in grado di indurre l’attivazione dell’interferone alpha in biopsie di soggetti celiaci in fase acuta e in fase di remissione della malattia.
⦁ Che in un modello cellulare di epitelio intestinale il peptide della giadina 31-43 attiva la via dell’INF-alpha analogamente al ligando virale Loxoribine (LOX). Le due molecole possono agire sinergisticamente e in entrambi i casi causano una alterazione del traffico vescicolare intracellulare.
⦁ Che questa alterazione delle vescicole è in grado “per se” di indurre infiammazione testimoniata dall’aumento di interferone.
I risultati qui presentati suggeriscono che insieme alle infezioni virali, proteine alimentari, in grado di simulare e potenziare la risposta immunitaria innata ai virus, possono innescare una malattia autoimmune (Figura 2).

Quali prospettive e quali benefici per i pazienti celiaci?
I risultati ottenuti aiutano a comprendere i meccanismi attraverso i quali il glutine induce il danno. Rafforzano l’idea che virus possono contribuire a scatenare la malattia in individui predisposti geneticamente. Aprono la strada all’impiego di nuovi biomarcatori: ciò aiuterà a migliorare la diagnosi, a predire l’evoluzione di soggetti a rischio e in una prospettiva più lontana anche a sviluppare nuove terapie.

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