Essere celiaco/a, oggi, vuol dire non aver praticamente più problemi con l’alimentazione, se si è a casa.
La scelta sul mercato è grande e anche il gusto è sicuramente migliore rispetto qualche anno fa.
Ma le cose cambiano quando si esce di casa. La celiachia è soprattutto una limitazione sociale, specie nel nostro Paese in cui per ogni evento si mangia: per festeggiare, per stare insieme e per parlare di lavoro. Intorno alla tavola facciamo proprio tutto, è tradizione. Mangiare fuori casa può essere ancora problematico, soprattutto dal punto di vista psicologico. Spesso può capitare di non riuscire ad accettare facilmente la nuova situazione vissuta come un limite alla propria quotidianità, soprattutto per chi ama tantissimo mangiare, farlo fuori o in compagnia. Può capitare di sentirsi discriminati, esclusi, diversi perché non si ha più la libertà di scegliere come prima e può mancare spesso la “normalità”.
Tutti per uno, uno per tutti
Mangiare diversamente, soprattutto all’inizio, può far sentire così. I momenti di grande cambiamento (e l’alimentazione fa parte di un bel pezzo della nostra vita) scombussolano, stravolgono, modificano, il disagio che si prova è una reazione e non c’è nulla da cui guarire, occorre solo adattarsi. Purtroppo potrà capitare di trovare lungo la propria strada gente disinteressata, amici che faticano a capire, ristoratori che sottovalutano. Ma ci saranno anche amici che sostengono, locali informati e straordinari, persone sensibili e persone con esigenze alimentari analoghe alla propria. Purtroppo la nuova condizione non è sempre una scelta, come nel caso della celiachia, ed è possibile lamentarsi, intristirsi e dispiacersi per il destino che è toccato, oppure è possibile farne una propria caratteristica e imparare a viverci tranquillamente giorno per giorno. È dura a volte uscire di casa e può essere complicato, ma ci vuole un po’ di tempo per organizzarsi. Può essere difficile soprattutto i primi anni perché c’è da prenderci la mano, adattarsi, fortificarsi. Può essere utile imparare a viaggiare sempre attrezzati, portare con sé il pane da casa, mangiare qualcosa prima di andare agli aperitivi e imparare a chiedere e pretendere quando è possibile. Con calma e pazienza si potranno “educare” gli altri, non stancarsi di spiegare, continuare a istruire, anche sulla dieta senza glutine.
Sicuramente può essere faticoso, ma viverlo bene o viverlo male è “solo” una scelta.
Piano piano si riscoprirà che gli amici ci vogliono bene per quello che siamo e non certo perché mangiamo come loro; che la sensibilità che si sta sviluppando può essere una lente per interpretare anche il resto del mondo sentendolo più vicino; che stare in compagnia, è bello anche se dobbiamo escludere alcune pietanze, pur di stare insieme. Quindi non resta che “rimboccarsi le maniche” e decidere qual è la propria strada.
Quante e quali domande fare?
Non ci sono risposte giuste e sempre valide nel comportarsi verso gli altri, escluso il rispetto e la cortesia, è la relazione l’unica risposta possibile, intesa come connessione e corrispondenza tra le persone. Non resta che osservare le reazioni dell’altro, i segnali del corpo, della voce, degli occhi. La persona infastidita dalle domande probabilmente girerà lo sguardo da altre parti, taglierà corto, sarà vaga, avrà la voce piuttosto bassa. Chi apprezza le domande sul senza glutine sarà, invece, partecipativo alla conversazione, riempirà di dettagli il racconto e probabilmente inizierà a raccontare la storia dal primo sintomo percepito. Ognuno vive la celiachia a suo modo ed è impossibile conoscere tutti i modi di ciascuno e quindi azzeccare le domande giuste. Dunque occhi aperti e ascolto: sintonizzarsi sull’altro è la strada giusta.