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La denominazione di "invalidanti" riportata nel titolo dell'elenco in cui compare la celiachia, definisce i pazienti celiaci "invalidi" secondo le norme sanitarie italiane?

Il DPCM del 12 gennaio 2016, pubblicato in G.U. il 18 Marzo (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza), ha reso effettivo il trasferimento della celiachia e della dermatite erpetiforme nell’allegato 8denominato “Elenco malattie e condizioni croniche e invalidanti”.  La normativa vigente prevede che il beneficio dell’esenzione dalle quota di partecipazione (per le prestazioni di specialistica ambulatoriale appropriate per il monitoraggio della patologia e la prevenzione di eventuali complicanze o aggravamenti) sia riconosciuta alle persone affette da una malattia  “cronica e invalidante”. Tale definizione è quindi  inerente alla malattia e non alla persona affetta e include sia malattie comunque e sempre invalidanti, sia malattie che, se non adeguatamente trattate, evolvono verso livelli di gravità invalidanti e potenzialmente letali;  l’esenzione, quindi, serve a consentire a tutti i malati di usufruire delle cure che possano evitare l’aggravamento della condizione (un particolare regime dietetico, come nel caso della malattia celiaca o un particolare programma di follow-up). Molte altre malattie presenti nell’elenco delle malattie croniche e invalidanti (allegato 8) presentano le stesse caratteristiche e le persone affette,  come i celiaci, se opportunamente controllate possono avere una vita perfettamente normale; è proprio questo l’obiettivo assistenziale che si prefigge l’esenzione dal ticket.  Basti pensare all’asma bronchiale, al diabete mellito, all’epilessia, al morbo di Crohn. Anche i soggetti donatori d’organo sono stati inseriti in questo elenco, proprio per la necessità di controllare nel lungo periodo la funzionalità dell’organo residuo, ma non sono considerati invalidi e neppure malati. Quindi il trasferimento della celiachia tra le malattie “croniche e invalidanti” non costituisce per i pazienti condizione tale da essere definiti e considerati invalidi.

Periodicamente si ricevono quesiti sulla possibilità di accedere a forma di assistenza previste dalla normativa sull’invalidità a causa o per conseguenza della diagnosi di celiachia e dermatite erpetiforme.

AIC ha da sempre orientato il suo operato alla rimozione degli ostacoli che il paziente incontra nella vita quotidiana, sposando  la finalità espressa dal 1° comma dell’art. 2 della L. 123/05   di finalizzare i propri interventi “a favorire il normale inserimento nella vita sociale dei soggetti affetti da celiachia.”

Proprio a seguito dell’applicazione della L. 123/05 che all’art 4 prevede che “nelle mense delle strutture scolastiche e ospedaliere e nelle mense delle strutture pubbliche devono essere somministrati, previa richiesta degli interessati, anche pasti senza glutine.” si è ritenuto che anche il ricorso, un tempo frequente, all’indennità di frequenza dei minori celiaci fosse considerato del tutto superato.

L’impegno dell’Associazione pazienti si spende nel garantire al malato una diagnosi precoce, corretta e l’accesso alla terapia che, come noto, consente al celiaco correttamente e precocemente diagnosticato di tornare ad una condizione di salute, sebbene in tempi variabili.

I particolari casi di compromesso stato generale a causa della celiachia che la norma indica l’attribuzione di percentuali di invalidità (codice 9334:“Sindrome da malassorbimento enterogeno con compromesso stato generale 1 = 41 – 50%”) potranno essere accertate dalle Commissioni Sanitarie preposte.

Di seguito si riportano alcuni contributi sulla norma generale di riferimento, utili a chi volesse valutare se e quanto la malattia celiachia e la dermatite erpetiforme possano rientrare nei diritti che la legge prevede.

È utile precisare che gli ambiti di tutela previsti dalla legge sono tre:

1) Invalidità civile;

2) Stato di persona handicappata;

3) Collocamento al lavoro.

In ambito di invalidità civile, necessario eseguire una ulteriore differenziazione tra i soggetti maggiorenni e quelli minori d’età.

Per i minori, possibile ottenere la concessione di:

1) Indennità di accompagnamento

(ai sensi della L.18/80 art.1 e della L.508/1988 art.1 – concessa alle persone che a causa delle infermità da cui sono affette, sono incapaci di deambulare autonomamente o di attendere alle attività esistenziali della vita quotidiana: lavarsi, vestirsi, ecc…);

2) Indennità mensile di frequenza

(ai sensi della L.289/90 art.1 – concessa alle persone che a causa delle infermità da cui sono affette, presentano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età, e necessitano di frequenza continua o anche periodica di centri ambulatoriali o di centri diurni, anche di tipo semiresidenziale, pubblici o privati, specializzati nel trattamento terapeutico o nella riabilitazione e nel recupero di persone portatrici di handicap). Pertanto, qualora una persona sia affetta da patologie che non comportano compromissione della propria validità di gravità tale da impedirne la deambulazione autonoma o tale da renderla bisognevole di assistenza continua, e neppure tale da imporle la necessità di avere costanti rapporti con strutture sanitarie specializzate nella terapia o riabilitazione della patologia lamentata, nessun beneficio può essere concesso.

Il fine della normativa sugli invalidi civili non è quello di offrire assistenza economica o di altro tipo a chiunque presenti malattie ingeneranti generiche invalidità, ma una “tutela” a quei cittadini affetti da invalidità di un certo rilievo, tali da comportare limitazioni “funzionali” di un certo livello di gravità ovvero che, in quanto minori, costringono i familiari a frequente “impegno” per essere condotti in centri specializzati nel trattamento della patologia da cui sono affetti.
Questo quanto prevede la normativa attualmente in vigore, che pone quale limite minino per l’acquisizione dello status di invalido civile la soglia del 34% di invalidità, ciò rappresentando al meglio quanto sinora esposto in merito al fatto che non tutte le patologie invalidanti comportano l’attribuzione di benefici, ma solo quelle di una certa entità.

Per questi motivi, se non ricorrono “condizioni particolari”, nessun beneficio può essere concesso al minore affetto da malattia celiaca.

In relazione al riconoscimento dello stato di persona “handicappata” evidente che questo discende da disabilità di tale livello di gravità da rendere l’individuo svantaggiato rispetto agli altri.
Ciò in considerazione di quanto affermato dalla L.104/92, che considera persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa di tale gravità da determinare uno svantaggio sociale o emarginazione.

La disabilità, in tale prospettiva, elettivamente una disuguaglianza di opportunità, di percezione di sé, di immaginazione di futuri possibili e quindi, in ultima analisi, di scelta di chi e cosa poter essere.
Un soggetto affetto da malattia celiaca non ha certamente difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa di tale gravità da risultare svantaggiato, nelle opportunità di vita e di lavoro, rispetto alle altre persone. Soprattutto, tale svantaggio deve considerarsi assente con l’apprendimento della capacità di gestire idoneamente la propria alimentazione.

In relazione ai benefici previsti dalla normativa sul collocamento agevolato, si precisa che il diritto scaturisce dal raggiungimento della “soglia” di invalidità del 46%. Per ottenere tale concessione, l’invalido deve avere compiuto il 15° anno di età (non più la maggiore età, a seguito dell’emanazione del DPR 333/10.10.2000 art.1). La patologia invalidante viene percentualizzata secondo i parametri imposti dalla “Nuova tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti” di cui al D.M. Sanità 5.2.1992.

Tale tabella indica, al numero di codice 9334: “ Sindrome da malassorbimento enterogeno con compromesso stato generale 1 = 41 – 50 % ” .
Pertanto, ben si comprende come una valutazione siffatta esorti a considerare “non invalidi” quei soggetti che, pur affetti da malattia celiaca, non versano in uno stato di apprezzabile, permanente compromissione dello stato generale. Si ponga attenzione al fatto che, definita pari a 100 la validità d’una persona, una riduzione del 50% afferma la perdita della metà della validità complessiva. Per questo motivo, necessario “graduare” le malattie invalidanti, evidentemente attribuendo valori differenti in rapporto alla gravità del deficit funzionale indotto.

Del resto, in materia di invalidità civile, il fine della valutazione medico-legale èla definizione del “ danno funzionale permanente ” indotto da malattia cronica, e non la mera identificazione di patologia non incidente sulla validità della persona (es: “artrosi” asintomatica o “malattia celiaca” senza ripercussioni funzionali).

In questa ottica, di immediato apprezzamento il fatto che se una persona affetta da malattia celiaca di gravità tale da indurre riduzione della propria validità in misura prossima al 46%, ciò porrebbe interrogativi sulla propria idoneità ad assolvere determinate attività, anche lavorative.

Per dovere di precisione, giova rammentare che la valutazione può variare in rapporto al grado di compromissione dello stato generale, preventivamente inquadrando lo specifico caso in esame in una delle quattro classi di gravità così identificate dalla predetta tabella di riferimento:

I CLASSE II CLASSE III CLASSE IV CLASSE
La malattia determina alterazioni lievi della funzione tali da provocare disturbi dolorosi saltuari, trattamento medicamentoso non continuativo e stabilizzazione del peso corporeo convenzionale (rilevato dalle tabelle facenti riferimento al sesso ed alla statura) su valori ottimali. La malattia determina alterazioni funzionali causa di disturbi dolorosi non continui, trattamento medicamentoso non continuativo, perdita del peso sino al 10% del valore convenzionale, saltuari disordini del transito intestinale. Si ha alterazione grave della funzione digestiva, con disturbi dolorosi molto frequenti, trattamento medicamentoso continuato e dieta costante; perdita del peso tra il 10 e il 20% del   valore convenzionale, eventuale anemia e presenza di apprezzabili disordini del transito.
Apprezzabili le ripercussioni sociolavorative
Alterazioni gravissime della funzione digestiva, con disturbi dolorosi e trattamento medicamentoso continuativo ma non completamente efficace, perdita di peso superiore al20% del convenzionale, anemia, gravi e costanti disordini del transito intestinale. Significative le limitazioni in ambito sociolavorativo.

* Dichiarazione di non responsabilità – disclaimer

L’Associazione Italiana Celiachia APS fornisce in questa pagina alcune utili informazioni che, pur non  costituendo pareri medici o legali, ovvero relativi a discipline che la legge riserva a particolari categorie professionali, sono da intendersi quali mere indicazioni che non sostituiscono valutazioni professionali e che, in ogni caso, necessitano di verifica con riferimento al caso specifico e concreto.  

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